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Depuis une trentaine d’années ou plus, de nombreux écrivains français assument l’Histoire comme objet ou comme contexte de l’intrigue de leurs récits. Un regard en arrière qui ne connaît pas de bornes. Tourné d’abord et surtout vers le XXe siècle, dont il vise les phases les plus significatives et les événements majeurs, il s’étend souvent bien plus loin, vers d’autres siècles, d’autres périodes, d’autres époques. Quelle est la relation qui se dessine ainsi entre le sujet écrivant et l’histoire ? Pourquoi un écrivain décide-t-il d’évoquer le passé ? Quelle est la logique qui lui inspire le choix d’une époque plutôt que d’une autre ? Comment se situe-t-il par rapport au présent, qui reste son horizon incontournable ? Quelle attitude manifeste-t-il face à cette histoire qui est à la fois processus factuel et mise en récit ? Quelle est la spécificité de l’écriture romanesque par rapport à la narration historique ? Ces questions ont été abordées à plusieurs reprises par des critiques. Mais il semble productif que ceux-ci les adressent également aux protagonistes mêmes de ce phénomène, à des écrivains, et non des moindres, dont les propos font la matière de ce livre dialogué.
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Un “fantasma” sembra aggirarsi nella letteratura francese a partire dagli anni Cinquanta del Novecento e pare destinato a rimanere tale per mezzo secolo, con una latente e, poi, dagli anni Ottanta, con una più riconoscibile capacità di produrre nuove forme o nuovi contesti letterari. Il “fantasma dei sentimenti” da tempo attraversa inquieto le pagine della narrativa, finzionale o autofinzionale, di Francia. Alcuni potrebbero, d’altronde, ipotizzare che questo “spettro” sia stato una presenza attiva, un fermento vitale, seppure dapprima minoritario, sotterraneo e sommesso (ma, forse, neppure troppo clandestino), anche nel periodo più ostile all’espressione in letteratura dei sentimenti. L’inversione di tendenza, nel romanzo francese di questo primo decennio del XXI secolo, appare sempre più netta e riconoscibile e finanche, talvolta, egemonica, se non eccessiva, come spesso succede, quando l’albero è stato troppo piegato, in precedenza, con corde cerebrali e funi ideologiche, nella direzione opposta a quella genetica e costitutiva della scrittura. Quando, come e perché è iniziata questa “riapparizione” dei sentimenti nel romanzo? In quali esperienze significative di scrittura si è espressa e quali sono le varianti narrative che si sono imposte? Quali sono i rischi che il romanzo francese contemporaneo corre quando la ricerca e l’espressione dei sentimenti si fa, come accade oggi, in maniera tumultuosa e incontrollata, con una forte esigenza di originalità che ne temperi i rischi insiti nel sentimentalismo? È possibile una letteratura dell’equilibrio, una letteratura che possa vivere senza l’eccesso, una letteratura senza esasperazione, o per dirla diversamente uno spazio letterario liberato da questa eredità e, dunque, propositivo? Perché il sentimento, anche quello più esacerbato, resta anche un punto di equilibrio tra la leggerezza dell’emozione e la gravità della passione, che porta pure lo stesso nome.
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La tela di fondo su cui si rappresenta la gamma dei sentimenti sembra mostrare che i territori dell’arte e quelli della letteratura implichino uno spazio di energie in continua tensione, sottoposto ad una trasformazione imprevedibile e ad un continuo scontro tra sentimenti e negazione dei sentimenti. I sentimenti, nella loro audace presenza, paiono diventati degli affidabili segnatempo, riconoscibili nella scrittura, anche attraverso le continue oscillazioni che si riscontrano nel posizionamento della materia artistica e letteraria, questa materia particolare, incompressibile, che sembra estendere la propria influenza nel campo dell’arte, restituendo all’arte la sua dimensione umana e agli uomini una più ampia e profonda sensibilità. I sentimenti, nella loro forma trascritta in arte, appaiono oramai per quel che sono: un’energia sotterranea che produce autenticità creativa e rende credibile la finzione e la giustifica, ne fa uno strumento di immedesimazione e, quindi, di una possibile liberazione. Testi di Wolfgang Asholt, Jeanne Benameur, Nicole Caligaris, Marc Dambre, Giusi Alessandra Falco, Sylvie Gouttebaron, Valeria Gramigna, Hélène Jaccomard, Marie Thérèse Jacquet, Isabelle Jarry, Alexis Jenni, Fred Le Chevalier, Bertrand Leclair, Matteo Majorano, Jochen Mecke, Marika Piva, Ida Porfido, Gerald Prince, Michael Sheringham, Maîté Snauwaert, Marinella Termite, Dominique Viart, Ornela Vorpsi. Matteo Majorano è professore di Letteratura francese presso l’Università di Bari. Di formazione classica, si interessa, a partire dal 1990, di letteratura del presente ed è tra i primi ad introdurre, in Italia, la disciplina dell’extrême contemporain. Per promuovere questi studi ha creato, nel 2001, la collana “Margini critici” e, dal 2012, con Gianfranco Rubino, dirige la collana “Ultracontemporanea”, osservatorio delle scritture attuali.
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La letteratura – come del resto tutte le forme artistiche – è capace di far emergere aspetti oscuri dell’esperienza umana, trasformandoli spesso in risorse vitali. Così è anche per la solitudine, condizione particolare attraversata da ogni individuo: le solitudini sono tante, almeno quante sono le esperienze umane chiamate a riempire le pagine dei romanzi. Una presunta ala “nobile” della solitudine è quella concettuale, che coesiste con una seconda, poco “aristocratica”, anzi plebea, che comprende uno straordinario e variegato catalogo: solitudini quotidiane, disperate, a volte piccole, altre infinite. Così, almeno fino a qualche tempo fa, si è presentata la solitudine nella letteratura, e nella letteratura francese in maniera più marcata. Ma cosa accade oggi tra le carte del romanzo? Cosa è cambiato nella presenza di questa materia, incandescente e glaciale? La solitudine la si guadagna e la si difende, senza nemmeno più la ragione forte di essere artista? E se la solitudine non fosse né bella né brutta, ma solo umana, senza drammi e senza gloria? Se non fosse più un elemento di distinzione per nessuno, ma solo uno spazio reale della vita di ciascuno, quando la vita non ha più bisogno di finzioni? Il volume, mettendo a fuoco queste domande, prova a tracciare delle risposte, affronta casi specifici e, nel suo complesso, rappresenta una chiave d’accesso ad un tema cruciale della letteratura contemporanea, francese e non solo.
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