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La Comoedia Leucasia del giurista napoletano Girolamo Morlini è in atto unico e sembra non ascriversi ad alcun genere teatrale specifico: l’autore stesso, consapevole dei singolari gusti dell’utenza partenopea e della particolare situazione contingente, dichiara di aver composto qualcosa di nuovo, una «fabella», probabilmente messa in scena davanti alla corte napoletana nell’arco del primo decennio del XVI secolo, dopo che le truppe francesi erano state ridotte alla fuga dal Gran Capitano Consalvo di Cordova. I protagonisti del dramma, dal chiaro intento encomiastico, riprendono i nomi dell’epica e della tragedia greco-latine e rappresentano le allegorie di quei personaggi storici (Protesilao-Ferdinando II d’Aragona e Oreste-Luigi XII di Francia), che, tra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento, si erano contesi il ridente Regno di Napoli (Leucasia). A costoro si affianca la folta schiera delle divinità del Pantheon classico, atte a garantire il successo di Ferdinando contro il nemico francese all’interno di uno scontro decisivo; l’evento, tuttavia, è lasciato in sospeso a favore del lieto fine, tutto incentrato sulla preparazione dei riti per le nozze tra il sovrano aragonese e la bella Leucasia. La commedia, tramandata da tre sole edizioni a stampa a partire dal 1520, riscatta la figura di un umanista poco conosciuto, autore anche di Novellae e Fabulae. L’edizione, che riprende e corregge, ove necessario, l’editio princeps curata dall’autore, pur accogliendo alcune osservazioni delle stampe successive, è corredata dalla traduzione italiana a fronte e dalle note di commento.
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