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A stark departure from traditional philology, What is Authorial Philology? is the first comprehensive treatment of authorial philology as a discipline in its own right. It provides readers with an excellent introduction to the theory and practice of editing 'authorial texts' alongside an exploration of authorial philology in its cultural and conceptual architecture. The originality and distinction of this work lies in its clear systematization of a discipline whose autonomous status has only recently been recognised (at least in Italy), though its roots may extend back as far as Giorgio Pasquali.
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Gli archivi degli autori, costituiti dalle carte e dalle biblioteche personali, sono il rovescio della medaglia delle loro opere, e le forme con cui sono stati costituiti e conservati nel tempo raccontano molto di quella “volontà d’archivio” che, da Petrarca in poi, è l’altra dimensione della “volontà d’autore”: una fiducia nella possibilità di affidare a essi, nella posterità, un’immagine parallela e speculare a quella offerta dalla propria opera. Questo volume interroga le manifestazioni di varie possibili volontà d’archivio nella tradizione letteraria italiana, da Petrarca a Manzoni: ne emerge un nuovo modo di guardare alle carte d’autore, che riflette sulla storia interna ed esterna degli archivi vagliando il ruolo che la loro conformazione ha avuto nella (auto)promozione e nella ricezione degli scrittori. Una doppia focalizzazione, con cui l’archivio si rivela lo strumento più utile per riflettere sull’interazione costante tra documento e opera letteraria.
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La giovinezza, con un testo quasi onirico (”Il figlio del farmacista”, 1942); la famiglia, tra tutti la madre (”La brace dei Biassoli”, 1956); l’esperienza della guerra in Libia (”II deserto della Libia”, 1952); il fascismo, trattato con irriverente sarcasmo (”Bandiera nera”, 1951, apparso con “L’angelo del Liponard”); la lotta partigiana narrata nel “Clandestino”, col quale vinse nel 1962 il premio Strega e conquistò la tanto desiderata popolarità. Non mancano, com’è ovvio, i testi sul manicomio, la pazzia, i matti, visti con occhio affettuoso e lucido insieme (”Per le antiche scale”, 1972). Infine “Tre amici” (1988), con cui Tobino vuole riscattare l’immagine di due amici bistrattati dalla storia e ritornare, a distanza di anni, alla letteratura politica. Completa l’antologia di testi una intera annata (il 1950) del “Diario” dello scrittore: pagine del tutto inedite.
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